Due giorni di fuoco

Appena finito l’attacco criminale nazisionista contro il campo di Jenin gli applausi dei sionisti fioccano da tutte le parti. Arrivano i complimenti per il gran lavoro dei soldati nazisionisti. Ben Gh’vir è galvanizzato e davanti alle telecamere dichiara che cambierà le regole d’ingaggio rendendo ancor più facile sparare contro qualsiasi palestinese con o senza motivi apparenti.
La scena dell’ultima invasione ci ha riportato al 2002 quando i carri armati scorrazzavano per le strade della città e gli elicotteri solcavano il suo cielo. Stavolta questi due elementi sono mancati, ma la scena rimane uguale. L’obiettivo dichiarato dell’arresto di un leader locale della Jihad islamica non è stato raggiunto, ma l’invasione ha mietuto 9 vittime e tanta distruzione/devastazione.
La resistenza dei combattenti palestinesi ha fermato l’avanzata e gli attaccanti che pensavano di circondare il campo profughi di Jenin sono stati a loro volta circondati al punto di chiamare rinforzi per tirarli fuori.
Jenin preoccupava i coloni nazisionisti e dopo questo attacco torna a preoccuparli maggiormente. Un esercito di soldati ben addestrati e super armati non riescono a porre termine al fenomeno di Jenin ed “estirpare” un manipolo di combattenti resistenti. Ciò che i sionisti temevano è diventato realtà e il fenomeno di Jenin si è diffuso in tutta la Palestina.
Gli israeliani e una parte della dirigenza palestinese, quella dell’ANP, cercano di impedire che ciò si radichi e si rafforzi, cercano di impedire che ci sia un ambiente popolare che lo sostenga e lo protegga.
Invece, le cose sono andate al peggio per i coloni nazisionisti. Con l’escalation lanciata da diversi ministri di questo nuovo governo e con gli attacchi quotidiani da parte dei coloni e delle truppe sioniste il popolo palestinese sembra aver trovato una saldatura e unità di ferro. Ora i coloni sionisti dovranno vedersela non solo con Jenin e Nablus, ma con Gerusalemme e i palestinesi degli interni (‘48). Preoccupa molto la discesa in campo di AlKhalil (Hebron) come bacino di resistenza popolare ed armata.
Gli ambienti dei servizi interni sionisti (Shin Bet) sostengono da tempo che conoscono benissimo ciò che frulla nella testa di ogni palestinese. Questi ambienti e tutti i centri di ricerca e di analisi israeliani sostengono di conoscere bene la mentalità dei palestinesi e di tenere tutto sotto controllo. Invece, negli ultimi anni assistiamo ad un fallimento dietro l’altro dell’apparato della sicurezza e dei servizi israeliani che non sono riusciti ad intercettare ed impedire decine di attentati mortali, attentati che hanno fatto molto male agli israeliani e hanno fatto scoppiare le polemiche interne sull’inefficienza di questi servizi e di tutti gli apparati polizieschi.

E se Jenin preoccupa, AlQuds infiamma e terrorizza i coloni sionisti. AlQuds (Gerusalemme) come abbiamo avuto l’occasione di scrivere è la città più fortificata al mondo con telecamere ad ogni angolo e pattuglie di polizia che presidiano il territorio. Infiltrarsi tra le maglie di tutto ciò è già arduo, ma infiltrarsi, studiare, pianificare ed agire è già un traguardo di grande valore al di là del risultato dell’operazione. Freddezza, pazienza, caparbietà/perseveranza, determinazione e coraggio sono gli elementi/ingredienti che occorrono, tutti insieme, per portare un soggetto a fare ciò che fanno questi nuovi giovani guerrieri palestinesi.
Gli attentati degli ultimi anni hanno mandato in tilt gli apparati sionisti; è la nuova generazione dei resistenti e Fedayn che fa infuriare e spaventa molto, non solo per la qualità dei soggetti e delle loro operazioni ma soprattutto per il fallimento della strategia sionista di creare “l’arabo buono”, ovvero il palestinese assimilato e assoggettato.
Oggi, il palestinese continua a sorprendere e colpire mortalmente laddove i sionisti non se lo aspettano. La creatività dei palestinesi si dimostra senza limite e contro tutto questo i sionisti non trovano nessun rimedio ciò malgrado la loro grande potenza bellica e tecnologica. Convivere con questa situazione non entra nel lessico o nella mentalità dei coloni spinti nella loro aggressione/occupazione da interessi meramente economici. Perciò, pensiamo che andremo verso un’escalation della lotta con una violenza senza limiti prima che la bestia si arrenda e cominci a fare le valigie, un ultimo tentativo che porterà la regione, tutta, ad incendiarsi.

un compagno palestinese

La risposta della resistenza non si fa attendere

Giovedì 26 gennaio ore 05.09 una ruspa, seguita da una colonna interminabile di blindati, solca le strade di Jenin diretta al campo profughi. La ruspa libera la strada da ogni ostacolo e, arrivati al campo, continua il suo lavoro buttando giù alcune abitazioni.

Ma la colonna del gregge dei criminali nazisionista è stata scoperta molto in anticipo trovando la Resistenza palestinese nel campo già pronta per l’accoglienza. È stato scoperto il furgone di distribuzione del latte che, invece di contenere latte, al suo interno c’erano soldati e cecchini.
Nasce una sparatoria fortissima e la resistenza non arretra. L’avanzata dei criminali professionisti viene fermata e, sebbene circondino completamente il campo non riescono a realizzare lo scopo dell’aggressione. Lo scontro dura parecchie ore e questo permette ai Fedayeen di arrivare da ogni parte e circondare i nazisionisti.
Jenin diventa un campo di battaglia. E se l’invasione è stata veloce e rocambolesca il ritiro è stato una fatica tremenda, occorreva chiamare rinforzi per tirare fuori i criminali sionisti dalla città.
I morti tra le fila dei palestinesi sono 9 mentre tra le truppe sioniste si è parlato inizialmente della morte di un comandante, notizia che presto è sparita come tutte le altre notizie.
Questo evento ha subito infiammato tutta la Palestina. Manifestazioni, presidi e scontri si sono verificati ovunque. La rabbia popolare è al massimo livello. Questa risposta e con tali dimensioni non ha lasciato alla dirigenza di Ramallah spazio per manovrare ed è stata costretta a condannare la strage di Jenin e porre fine, con effetto immediato, al coordinamento di sicurezza con l’esercito d’occupazione nazisionista (sic).
Ma la vera risposta alla strage di Jenin è arrivata il giorno dopo a Gerusalemme: un giovane di 21 anni, Fakhri A’lqam del campo di Shuàfat, impugna la sua Beretta calibro 9 e si lancia contro un gruppo di coloni in un quartiere della città, sale in macchina e va un po’ più avanti e attacca un secondo gruppo. Fakhri spara per 5 minuti prima che arrivi una pattuglia di polizia con la quale nasce uno scontro fino al suo martirio.
La risposta del giovane palestinese crea uno shock collettivo, Ben Gh’vir, il chiacchierone, è senza parole per la prima volta, la folla lo riempie di insulti e lo caccia via attribuendo a lui le responsabilità dell’accaduto. Dall’altra parte, il mondo dei palestinesi è in festa e la tristezza che avvolgeva Jenin si è tramutata in una gigantesca festa. Netanyahu è in difficoltà, Abu Mazen è in difficoltà e il popolo palestinese dimostra al mondo intero di essere vivo e di resistere…

un compagno palestinese

Un altro massacro sionista. Palestina libera!

La nostra solidarietà significa lottare nel nostro Paese contro ogni governo che si manifesta amico del governo israeliano

Nella sua attività di rastrellamento in Cisgiordania occupata da quando le incursioni si sono intensificate dallo scorso anno, l’esercito al servizio dello Stato sionista ha ucciso – il 26 gennaio – nel campo profughi di Jenin almeno 10 palestinesi tra i quali un’anziana donna, e altri 20 feriti tra i quali 4 gravemente.

Dall’occupazione israeliana del 1967 centinaia di giovani vengono uccisi, i palestinesi sono prigionieri in casa propria e obbligati al controllo ai check point, sono privati dell’acqua soprattutto quella necessaria per l’agricoltura, e di medicine, intere famiglie sono divise da un enorme muro di cemento.
Tutti i giorni i soldati sfondano le porte, arrestano e spesso uccidono. Nei giorni scorsi è successo alla compagna Stefania di Pisa, ospite di una famiglia palestinese: prelevata ed espulsa mentre veniva ucciso un ragazzo di 14 anni; è stato arrestato un giovane del campo profughi di Aida che è stato più volte in Italia per parlare delle condizioni dei palestinesi. E le carceri sono piene anche di giovanissimi (dai 9 anni in su) e di ragazze. Sono rinchiusi, in pessime condizioni e sotto continua repressione, in attesa di conoscere le accuse e la data del processo.
È sufficiente difendere i diritti umani per essere tacciati di terrorismo o antisemitismo. Persino le ONG sono definite “organizzazioni terroristiche” perché darebbero una copertura delle attività del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP)
Ai comunisti, ai resistenti, al popolo palestinese oppresso va tutta la nostra solidarietà, che per noi significa lottare nel nostro Paese contro ogni governo che si manifesta amico del governo israeliano, che porta avanti programmi di cooperazione bilaterale attraverso le Università, gli enti di ricerca, i vari settori imprenditoriali fino alle relazioni economiche che rafforzano la formidabile macchina da guerra di Israele.

Unione di lotta per il Partito Comunista (ULPC)

accadde oggi

28 gennaio 1945:

A Napoli inizia il primo Congresso della CGIL delle zone liberate. Eletti i primi Segretari generali della Confederazione generale italiana del lavoro: Di Vittorio per i comunisti, Grandi per i democristiani, Lizzadri per i socialisti.

28-29 gennaio 1944:

Il Congresso dei CLN dell’Italia liberata, tenuto a Bari, chiede l’abdicazione del re e la convocazione di un’assemblea costituente alla fine delle ostilità