Il CLA (Coordinamento Lavoratori/trici Autoconvocati) propone un’assemblea nazionale unitaria su “salute, sicurezza, repressione” nei luoghi di lavoro e sul territorio per domenica 25 giugnoore 10.30 al Cpa Firenze Sud
Un’assemblea promossa direttamente dalle realtà disponibili e interessate, aperta al contributo e alla partecipazione di chi è impegnato su questi temi, per denunciarne la gravità della situazione, per organizzare iniziative, dibattiti, mobilitazioni, per essere a fianco di chi lotta e che, proprio per questo, subisce ogni forma di rappresaglia padronale, aziendale, giudiziaria. Un’assemblea con la prospettiva di iniziare a coordinarsi e a centralizzare l’intera attività, su questi temi, in modo sistematico e permanente, da parte di ogni singola realtà. Vi sono ambiti e forze attive, a cominciare da quelle sindacali, come coordinamenti, collettivi, reti, osservatori, associazioni. Il desiderio di unità deve tradursi in realtà per un’azione concreta e coerente di prevenzione e protezione. La proposta è costituire un Centro unitario in grado di sviluppare un’azione comune in un numero maggiore di territori; di sviluppare mobilitazioni e campagne di denuncia, solidarietà, lotta. PER trasformare la coscienza di classe in maturità politica, necessaria a unire forze già operative, ad alimentarne altre e a far sì che l’intera forza sia in grado di sovvertire l’attuale situazione, così grave, su temi fondamentali come salute, sicurezza e repressione. Questo metodo e modo di procedere, all’insegna dell’unità, rappresenta un salto qualitativo e quantitativo, l’unità di classe e per la classe, utile alle lotte e a sviluppare una tendenza generale alla lotta. Un salto in avanti, un passo concreto, PER resistere e contrapporsi a progetti e provvedimenti padronali e governativi, all’immobilismo di sindacati burocratici e collaborazionisti. Un’unità di classe per dare forza propulsiva e propositiva alle iniziative, alla rabbia e al dolore dei familiari delle Vittime sul lavoro e da lavoro, di stragi industriali e ambientali, alle avanguardie operaie e sindacali, agli attivisti Rsu/Rls, impegnati e attivi sui temi esposti.
12 maggio. Novi Ligure. Mentre lavora alla ristrutturazione della facciata dello storico Palazzo Durazzo, Antonio Summa, 37 anni, viene travolto dal crollo di un lucernario in vetro. Le schegge gli recidono l’arteria femorale e per lui non c’è nulla da fare. 13 maggio. Minucciano (Lucca): una morte di sapore “ottocentesco” (peccato che siamo nel 2023…). Un “cavatore” di 55 anni – Ugo Antonio Orsi – viene investito e schiacciato da una grossa lastra di marmo. I compagni di lavoro non sono nemmeno riusciti – a causa del peso – a spostare il blocco. 15 maggio. Suzzara: Maura Marangoni, 59 anni e a qualche mese dal pensionamento, viene colpita alla gola da una lama inceppatasi nella pressa dell’azienda di lattonerie dove la donna lavorava. Maura muore dissanguata in pochi minuti. 17 maggio. Porto di Genova: un operaio di 41 anni viene investito da un carrello. Non perderà la vita ma gli verranno amputate entrambe le gambe. 23 maggio. Mariano del Friuli (Gorizia): Nicolas Nanut, di 30 anni, perde la vita schiacciato da un macchinario su cui stava lavorando. 24 maggio. Monopoli: mentre Vito Germano di 64 anni e Cosimo Lomele di 62 anni stanno lavorando a scavi per le condutture di un nuovo complesso, un costone roccioso si stacca e li travolge. 25 maggio. Trezzano sul Naviglio: Ruman Abdul, 25 anni, muore schiacciato da un pesante macchinario che stava spostando. Era il suo primo giorno di lavoro ed è stato l’ultimo della sua vita. 25 maggio. Bagolino: Daniele Salvini, un boscaiolo di 33 anni, mentre potava alcuni alberi danneggiati viene investito mortalmente da una pianta. 25 maggio. Macherio: mentre lavorava alla costruzione di una piscina, Rosario Frustaci cade dal ponteggio e precipita nella vasca profonda 4 metri. Per recuperare il suo corpo devono intervenire – oltre ai vigili del fuoco – anche membri del Nucleo Speleo Alpino Fluviale. 29 maggio. Capurso (Bari): Pasquale Pipino,un operaio di 58 anni, perde la vita folgorato da una cabina elettrica in cui stava lavorando. Questa triste lista (con nome e cognomi, perché si tratta di esseri umani e non di numeri di una statistica) del solo mese di maggio si aggiunge alle 196 vittime del profitto già registrate nei primi 3 mesi del 2023, con un aumento del 3,7% rispetto allo stesso periodo 2022. Sarà che i padroni hanno capito bene quello che la Meloni si era affrettata a dire nei primi giorni del suo governo: “non disturberemo chi vuole fare”. Dove “chi vuole fare” sono i capitalisti che non si fermano davanti a nulla. Bisogna dire che anche i governi precedenti, visto il numero di morti operaie che ogni anno sfiora i 1.500, non li hanno “disturbati” più di tanto. Di leggi contro le morti sul lavoro il nostro Codice è pieno. Alcuni sindacati di base ne propongono un’altra (reato di omicidio e lesioni sul lavoro). I sindacati confederali, ad ogni mattanza, vogliono aprire tavoli di confronto con quei padroni a cui da decine di anni viene garantita l’impunità (e quindi di cosa vogliono discutere?). Quanti imprenditori sono stati condannati? Praticamente impossibile saperlo (sarà che la risposta forse è “nessuno”?). Ormai ci mancano le parole (e anche le lacrime). Resta la rabbia contro un sistema barbaro – il capitalismo – che mette il profitto davanti alla vita umana, e la coscienza che o i lavoratori si organizzano senza delegare ad altri (leggi, sindacati confederali ecc. ecc.) la difesa della loro vita o la strage non si fermerà.
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Lo Statuto – approvato sulla spinta di una grande stagione di lotte operaie (“autunno caldo”) che rivendicava aumenti salariali egualitari e diritti fondamentali – introdusse modifiche sul piano delle condizioni di lavoro, dei rapporti fra datori di lavoro e lavoratori e nel campo delle rappresentanze sindacali. Fu una delle riforme degli anni ’60 e ’70: dai contratti collettivi nazionali alle pensioni, dal punto unico di contingenza alla L.833/78 sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Ogni vera riforma presenta due aspetti di per sé contraddittori: – è il frutto della mobilitazione delle classi lavoratrici e delle masse popolari; – rappresenta un compromesso con le controparti per le quali è finalizzato al contenimento, sino all’azzeramento della stessa mobilitazione. Nella lotta per le “riforme” è fondamentale cogliere l’aspetto positivo (immediato e transitorio) per le classi lavoratrici, come non deve essere sottovalutato l’aspetto positivo per l’avversario: frenare la mobilitazione sino a erodere e/o cancellare la loro ‘efficacia’. Le riforme di quegli anni rappresentarono questo, risultando nel corso dei decenni compromessi a perdere. Ogni compromesso può essere nobile o traditore per le classi sfruttate, a seconda della comprensione e della trasformazione della realtà senza mai perdere di vista l’obiettivo generale. Nei decenni, abbiamo assistito: – alla cancellazione delle conquiste e dei diritti strappati con il sangue, i sacrifici, le lotte e le mobilitazioni, in particolare nel biennio ’68-’69; – alla devastazione di ogni diritto e tutela del lavoro da parte di padroni, manager e governi, con le complicità di sindacati, partiti e associazioni, che hanno svenduto il patrimonio del movimento operaio e sindacale: dalle controriforme sulle pensioni al dilagare del precariato, alla cancellazione dell’art.18 dello Statuto al carovita, alla povertà. Con l’applicazione dell’allora L.833/78 (SSN), la stessa emergenza sanitaria (Covid-19) sarebbe stata affrontata in ben altro modo, evitando la tragedia che è sotto i nostri occhi. Lo smantellamento di un servizio sanitario pubblico, solidale e nazionale e le privatizzazioni hanno pesantemente e gravemente “assistito” il massacro sociale, economico e politico. Un disastro sanitario annunciato e denunciato, crimini di un sistema fondato su un modello di produzione che subordina, fino ad annientare, la salute e la vita, la sicurezza e l’ambiente, sull’altare del profitto. Le controriforme di questi decenni contro lavoratori e lavoratrici, precari, pensionati, disoccupati, giovani, sono state vere riforme favorevoli ai padroni e ai loro portaborse politici, istituzionali e sindacali. La storia, l’esperienza e la realtà, insegnano che difesa e conquiste hanno come presupposto, base e condizione, la coscienza, la mobilitazione, l’organizzazione della classe, e che l’offensiva e la lotta per un mondo migliore, per una società radicalmente alternativa, necessitano in primo luogo dello strumento determinante per un processo rivoluzionario: il Partito comunista, senza il quale, anche la più significativa conquista, alla lunga, come dimostrato, si affievolisce sino a perdersi.
Siamo ancora un po’ frastornati, confusi, ancora un po’ ubriachi e non abbiamo dormito per niente. I messaggi le telefonate dai nostri compagni di lavoro, da tanti compagni e compagne di Genova e da mezza Italia e da tante città europee ci fanno comprendere come sia importante la solidarietà la complicità,non siamo facili da sopportare ,ma se si ha un po’ di pazienza si capisce che siamo semplicemente il riflesso del nostro lavoro, siamo Portuali. Questa archiviazione cerchiamo di comprenderla di analizzarla, non vogliamo cadere in trionfalismi o facili conclusioni, questa indagine crediamo che nasca in alto e abbia dei mandanti precisi, ma questa è Genova, anche chi governa ha capito che questa città ribelle a volte chiusa ma attenta e testarda, sa opporsi. Molte le strade, tante le piazze in cui siamo stati proprio perché ricordano i nostri martiri partigiani. Non c’è montagna o sentiero che non abbia lapidi o ricordi della resistenza antifascista, dal Porto, dalle fabbriche, alle scuole, dai quartieri Popolari, al Centro Storico di Genova coi suoi Vicoli, zone che si sono sempre opposte al fascismo, alla guerra e noi siamo semplicemente i figli di questa città e la difenderemo fino alla fine. Per quanto riguarda il contrasto in Porto dei traffici di armi vogliamo solo ricordare che la contraddizione più grossa continua a rimanere appesa, mentre noi siamo stati per due anni sotto indagine e a oggi “l’associazione a delinquere 416” è stata archiviata, la legge 185/90 continua a essere non rispettata e che i veri delinquenti sono i trafficanti d’armi che passano per i nostri Porti e chi collabora con loro per aumentare i profitti dei soliti nomi. Pensiamo che opporsi ai traffici di armi sia un buon motivo per provare a fare qualcosa prima che sia definitivamente troppo tardi. Per noi l’archiviazione è una vittoria, frutto di un lavoro politico condotto con determinazione grazie al supporto di tutte/i i Compagni che ci hanno supportato, anche se molti di noi hanno ancora dei procedimenti che pesano e che peseranno sulla loro vita. Continueremo la nostra lotta e lo faremo a testa alta!
Il coordinamento inter-sindacale ha lanciato una nuova giornata di mobilitazione il 6 aprile
Partito Comunista degli Operai di Francia
La decima giornata di scioperi e manifestazioni ha mostrato chiaramente che non era questo il momento per dichiarare la fine della mobilitazione. I settori in sciopero c’erano: energia, SNCF [ferrovie francesi – ndt], trattamento rifiuti, anche se è difficile allargare il movimento di sciopero o far aderire a scioperi ripetuti. C’erano giovani, studenti e liceali, con università e scuole bloccate. La repressione dei manifestanti che si opponevano ai bacini, erano in molti a Sainte Soline sabato, era denunciata su molti cartelli, in connessione con la denuncia della violenza della polizia, in particolare quella degli agenti di polizia BRAV-M [Brigate di Repressione delle Azioni Violente – Motorizzate, unità di polizia create nel 2019 per reprimere i Gilet Gialli; sono oggetto di inchieste giudiziarie per atti di particolare violenza sui manifestanti – ndt]. Cresce la richiesta di scioglimento di queste unità. Aumentano i controlli della polizia e il lancio di lacrimogeni, soprattutto nelle città, dove molti giovani partecipano a manifestazioni e azioni. L’ampiezza delle manifestazioni, ancora una volta particolarmente forti nelle città grandi, medie e anche piccole, ha dimostrato che la “pausa” non era all’ordine del giorno [la “pausa” consiste nella proposta di congelare per un mese e mezzo l’art. 7 della riforma delle pensioni, articolo che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni, e di nominare dei mediatori al fine di raggiungere un compromesso sociale con il governo – ndt]. A fine mattinata, questa proposta, lanciata dal leader della CFDT, L. Berger, era già stata dibattuta nelle file dei manifestanti, e ancor di più, nelle manifestazioni e nelle discussioni del pomeriggio. Ha attraversato il congresso confederale della CGT, che si sta tenendo a Clermont Ferrand, dove l’intervento di P. Martinez a sostegno della proposta di Berger non è “passato” tra i delegati [la proposta di “pausa” è stata ripresa anche dal sindacato FO Force Ouvriere – ndt].
Il rigetto di questa riforma, soprattutto dei 64enni, rimane molto forte tra i lavoratori e anche più in generale, e viene respinto il rifiuto di Macron di tenerne conto. Quanto alla criminalizzazione della protesta sociale, a colpi di candelotti di ogni genere, manganelli a pioggia e arresti, essa è ampiamente denunciata, soprattutto dai giovani. I legami di solidarietà che si sono intessuti tra i partecipanti alle azioni di blocco e ai picchetti, si stanno rafforzando. È un fattore importante per questo movimento e per le lotte future. In diverse aziende, volantini recanti le sigle del sindacato CGT aziendale e quelli di altri sindacati CGT di altri settori, incitavano allo sciopero e alla manifestazione di questo 28 marzo. Vediamo anche nei giovani il desiderio di approfondire la comprensione delle implicazioni di questa riforma sui giovani stessi e sui loro “nonni e nonne”, per convincere chi li circonda ad aderire al movimento, allargando la protesta a tutta la società. Molti lavoratori si organizzano per poter partecipare alle azioni e soprattutto alle manifestazioni che scandiscono questo movimento, scioperando nelle giornate di mobilitazione. Ciò dimostra che stanno proiettando in un movimento di lungo periodo, senza rinunciare a rivendicare il ritiro della riforma. Il coordinamento inter-sindacale ha lanciato una nuova giornata di mobilitazione il 6 aprile. Come diciamo alla fine del volantino del partito distribuito in tutte le città dove siamo organizzati o abbiamo dei compagni: “no, non è finita”.
Al movimento sindacale, a tutte le organizzazioni sindacali, a delegate, delegati, semplici iscritte e iscritti, lavoratrici e lavoratori
“Che ci posso fare io? Non ci posso fare proprio niente. Perché dovrebbero prendere lo stipendio se non c’è la cassa integrazione? Non ci posso rimettere io. I problemi non sono i miei”, Francesco Borgomeo a Rete4. Alla ex-Gkn di Firenze è in atto un sequestro di salari e diritti. Potenzialmente un licenziamento per mobbing di massa. Non solo da 6 mesi non ci pagano ma il sindacato è azzerato di fatto in tutte le sue funzioni e prerogative. I decreti ingiuntivi sono stati fatti sulle buste paga di ottobre e novembre. Da allora hanno smesso di consegnarci anche le buste. Un precedente pericoloso, che semplicemente non deve passare. Da sei mesi hanno sequestrato e azzerato di fatto il contratto nazionale, gli accordi interni frutto di oltre 60 anni di lotte, il diritto al salario e perfino a ricevere la busta paga, l’aspettativa, i contributi, l’allattamento, la paternità ecc. Qualsiasi diritto basilare è stato sequestrato come strumento di trattativa, di pressione nei confronti dello Stato. È un gioco al massacro, probabilmente calcolato nei minimi dettagli, per indurre il numero maggiore possibile di lavoratori a licenziarsi e per punire e piegare la resistenza lunga 20 mesi dell’assemblea permanente creatasi dopo la delocalizzazione della produzione. La nostra condizione è una trappola ben studiata: in quanto lavoratori a tempo indeterminato non possiamo bloccare mutui, affitti. Non siamo disoccupati e quindi non riceviamo Naspi. Se ci licenziamo, rischiamo di perderla. In compenso però non abbiamo alcun reddito. Dei 500 posti di lavoro iniziali, 220 sono stati bruciati senza avere bisogno di dichiarare nemmeno un licenziamento. Tutto questo sta avvenendo sotto i riflettori, di fronte a dei tavoli ministeriali. Se osano fare tutto questo alla luce del sole, cosa succede nelle piccole aziende, nelle campagne, nei lavori stagionali? La risposta la conoscete bene. Ricordiamo che non stiamo parlando di una proprietà industriale che dopo molti anni o per problemi di mercato, getta la spugna. Ma di una proprietà che appena un anno e mezzo fa compra Gkn Firenze con la promessa di reindustrializzarla. E oggi di fatto getta la maschera. Tra il luglio 2021 e il dicembre 2021 infatti, riusciamo insieme, con la mobilitazione e l’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori, a sconfiggere i licenziamenti in tronco (dichiarati per delocalizzazione da Gkn/Melrose). Nel dicembre 2021 improvvisamente l’advisor di Gkn – presentato a Gkn dalla “stessa politica” – decide di acquistare lo stabilimento di Firenze. Ritira la liquidazione della società e i licenziamenti tecnicamente si fermano. Gli accordi stipulati tra lui e la vecchia proprietà rimangono riservati. Promette investitori che non si presentano mai e piani industriali che non arrivano. Viola l’accordo quadro sottoscritto che lo impegnerebbe anche a reindustrializzare con capitale proprio. Nulla di nuovo. Una storia già vista. Anzi, potremmo dire una tattica sperimentata con cui in Italia si sono chiuse tante fabbriche; facendo evaporare i posti di lavoro in una operetta senza fine, fatta di investitori che non arrivano, migliaia di ore di cassa integrazione e tavoli ministeriali che servono solo a prendere tempo per perdere tempo. Dopo la speculazione finanziaria, ora siamo probabilmente a quella immobiliare: l’obiettivo è svuotare lo stabilimento e liberarlo dai lavoratori. In questo caso, però, l’assemblea permanente resiste e non permette che lo stabilimento venga smantellato senza chiarezza sulle future produzioni. Grazie alla convergenza con il resto delle mobilitazioni sociali, la lotta acquisisce una durata e una resistenza fuori dal comune. E qua inizia l’attacco frontale che vi abbiamo descritto: l’abbiamo chiamato l’assedio. L’assedio si compone di due direttrici: fare terra bruciata attorno alla lotta con la calunnia e prendere per fame e sfinimento gli assediati. Così l’assemblea permanente – a guardia della reindustrializzazione e scoppiata a causa della delocalizzazione della produzione – viene indicata dalla proprietà come responsabile dell’assenza di lavoro. E mentre si prova a tenere impegnata l’opinione pubblica con questa calunnia, si procede alla vera illegalità: da novembre, come già spiegato, si smette di pagare gli stipendi e si azzera di fatto ogni norma contrattuale. La cosa incredibile è che noi non siamo solo resistenza. Abbiamo messo in campo una serie di piani industriali, che con l’intervento pubblico potrebbero essere facilmente realizzabili e che sono ecologicamente e socialmente avanzati. L’unica cosa che ha fatto lo Stato in 20 mesi di lotta è recentemente concedere una cassa retroattiva e senza senso da gennaio a ottobre 2022. Liquidità pubblica retroattiva in una azienda che è in liquidazione oggi. Diciamolo a battuta: si potrebbe dire che hanno nazionalizzato il nostro Cud 2022. Senza intervento pubblico, sarà tutto più difficile. Eppure stiamo provando a ripartire anche da soli, con forme di autoproduzione e cooperativistica. La storia di Gkn fin qua può interrogare il movimento sindacale su una molteplicità di fattori: su come creare un modello sindacale democratico e partecipativo attraverso lo strumento del Collettivo di Fabbrica e i delegati di raccordo, sull’uso delle casse di resistenza, sul mutuo soccorso, sull’uso dell’articolo 11 dello Statuto dei Lavoratori per favorire un sindacalismo a insediamento multiplo, rivendicativo e consapevole, sulla ripartenza in autogestione operaia. Su questo ognuno sarà libero di farsi una propria idea, ma il punto non è questo. Indipendentemente di cosa pensiate del nostro modello sindacale, è possibile tollerare l’azzeramento di qualsiasi forma di sindacato? Vi chiediamo se è possibile tollerare, senza mettere in pericolo l’intero movimento sindacale, il sequestro di salari e diritti come modalità per indurre licenziamenti e piegare le vertenze sindacali? Sin dall’inizio di questa vicenda, abbiamo considerato che fosse possibile, anzi probabile, una sconfitta. Ma così no. Così no. Questo precedente non può passare.
Il 25 marzo alle h 14.00 a Firenze chiamiamo nuovamente a un corteo. Rimanere a guardare non è possibile.
“Sono a rischio” e Cgil e Cub proclamano 4 ore per venerdì 17 marzo
C’è grande preoccupazione tra i 90 lavoratori della Cft che gestisce i servizi di carico e scarico bagagli all’aeroporto Galilei di Pisa. Siamo arrivati alla mobilitazione perché le aziende committenti Toscana Aeroporti, Toscana Aeroporti Handling e Consulta, hanno espresso l’intenzione di far cessare l’appalto e di reinternalizzare le attività senza impegni concreti sulle tutele occupazionali dei lavoratori”. Lo denuncia Fulvio Cacace, segretario generale della Filt Cgil pisana annunciando lo sciopero del prossimo 17 marzo dalle ore 10.00 alle ore 14.00 “che potrà avere un impatto sul traffico aereo”. “La stessa situazione d’incertezza e preoccupazione si vive anche nell’aeroporto Vespucci di Firenze dove è in ballo il futuro di altri 57 lavoratori. Il 15 marzo per procedura di legge saranno inviate le lettere di licenziamento, in vista della scadenza dell’appalto il prossimo 31 marzo”. Allo sciopero del 17 marzo aderisce anche la sigla sindacale di base Cub di Pisa che con Federico Giusti, si chiede “cosa ne sarà di questi lavoratori: siamo preoccupati soprattutto per quelli più anziani e per coloro che hanno meno specializzazioni e che potrebbero trovarsi disoccupati dopo quasi 20 di lavoro”.
Genova. Per il crollo della ‘Torre piloti’ del 7 maggio 2013 tutti assolti; totalmente ribaltata la sentenza di 1° grado! Cancellate le 7 condanne di 1° grado per la collocazione della struttura distrutta dalla collisione della nave ‘Jolly Nero’, della compagnia Messina, che causò 9 Vittime (6 militari e 3 civili). Assoluzione per Angrisano, ex comandante della Capitaneria di porto e poi comandante generale delle Capitanerie di porto. In 1° grado il numero uno del più importante porto italiano era stato condannato a 3 anni nel processo sulla collocazione e costruzione della Torre. Procedimento nato su iniziativa, per la volontà e la caparbietà di Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa, una delle Vittime; la madre coraggio si era opposta alla richiesta di archiviazione, sostenendo l’evidente pericolosità dell’ubicazione. Una delegazione di familiari della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009 “Il Mondo che vorrei” e di Assemblea 29 giugno è stata presente alla sentenza d’appello a Genova in solidarietà ai familiari delle 9 Vittime e per sostenere Adele che, anche a seguito di questa vergognosa sentenza, ha legittimamente fatto sentire la sua voce, il suo grido di dolore e la sua protesta, contro un verdetto che calpesta di nuovo la vita di suo figlio Giuseppe e delle altre 8 vittime.