La conquista del leninismo: dalle Tesi di Roma alle Tesi di Lione

Frutto di un lungo e faticoso percorso di avvicinamento tra i diversi gruppi comunisti – in particolare la “frazione astensionista” diretta da Amadeo Bordiga ed il gruppo de “L’Ordine Nuovo” guidato da Antonio Gramsci – che si erano formati in seno al PSI, il partito che nasce a Livorno il 21 gennaio 1921, con il fine dichiarato di assurgere al ruolo di guida di una rivoluzione proletaria fattasi più lontana dopo il fallimento del “Biennio Rosso” 1919-1920, è, almeno fino a tutto il 1923, un’organizzazione modellata sulle concezioni politiche ed organizzative di Bordiga.

Un partito i cui tratti specifici furono da subito il rigore organizzativo, l’inflessibilità ideologica, l’intransigenza politica. Elementi utili a far decollare la nuova organizzazione ma che finirono ben presto – nonostante le sollecitazioni in senso opposto dell’Internazionale Comunista – per isolare il giovane partito e tenerlo in una posizione di inerzia e passività che pregiudicava ogni azione politica del partito, allontanandolo anche da pratiche di fronte unico con i tanti lavoratori influenzati dal riformismo o da importanti movimenti di massa popolari e proletari come gli Arditi del Popolo o l’Alleanza del Lavoro.

Prevalse un atteggiamento settario e dottrinario che escludeva ogni soluzione tattica intermedia utile alla conquista della maggioranza della classe operaia. Il partito si attestò, di fatto, in una sorta di attesa messianica dello scoccare dell’ora X di una rivoluzione proletaria alla cui testa si sarebbe dovuto “sovrapporre” un partito comunista formato da un “gruppo di eletti” rigidamente selezionati. Un esempio tipico di attendismo e di codismo.

Questa impostazione raggiungerà il suo apice nella primavera del ’22 con il II° Congresso del PCd’I e le Tesi di Roma, alla cui stesura parteciperanno, al fine di salvaguardare l’unità del partito, anche Gramsci ed i compagni de “L’Ordine Nuovo”. E ciò malgrado le perplessità che il comunista sardo nutriva sia sull’analisi complessiva che sulla linea politica sviluppate dal partito fino a quel momento: dalla più articolata riflessione sul fenomeno fascista all’attenzione riservata, proprio in chiave antifascista, alle contraddizioni interne alla borghesia e delle conseguenze che queste comportavano nell’orientamento delle masse e nell’evolversi della situazione.

Ed è quanto il partito, diretto da un nuovo gruppo dirigente raccoltosi attorno a Gramsci, cercherà di mettere in atto nel corso del 1924 durante la grave crisi politica seguita al delitto Matteotti e caratterizzata dall’esperienza dell’Aventino.

Infatti fu solo all’inizio di quell’anno, a seguito sia dei colpi inferti dall’apparato repressivo del regime fascista al gruppo dirigente comunista (in particolare l’arresto di Bordiga) sia dell’intervento diretto dei vertici dell’Internazionale, che caldeggiavano l’adozione di una diversa linea politica per i comunisti italiani, che Gramsci si assunse la responsabilità di infondere un orientamento leninista al PCd’I.

Una lotta ideologica e politica che non si risolse solo in un avvicendamento del gruppo dirigente, ma determinò soprattutto un radicale mutamento di linea politica e di struttura organizzativa. Anzi, si potrebbe dire che la natura stessa del partito subì una profonda trasformazione.

Gramsci propose, infatti, un altro tipo di partito, non più abbarbicato su se stesso, bensì un partito capace di intervenire politicamente sullo sviluppo del processo storico complessivo e di quello rivoluzionario in particolare e di entrare nel vivo delle proteste e delle agitazioni – anche quelle meno significative a fini rivoluzionari – intraprese dalle avanguardie di classe laddove esse manifestassero la loro volontà di lotta; un partito che viveva, agiva e si sviluppava in mezzo agli operai e agli altri lavoratori sfruttati.

Da qui anche i cambiamenti organizzativi, con il superamento della sezione territoriale “bordighiana” e la formazione, innanzitutto nelle fabbriche, di cellule comuniste, considerate indispensabili per sviluppare il lavoro in seno alla classe operaia e al proletariato. Una scelta che determinò un notevole incremento del numero degli iscritti al partito (dai 9.000 del 1923 ai circa 28.000 della fine del 1925).

Un partito inteso, quindi, non più come “organo” della classe, sulla base della precedente impostazione bordighiana, bensì come “parte” della classe, secondo la corretta visione gramsciana, fondata sulla necessità di un agire politico visto anche come individuazione di obiettivi transitori e rivendicazioni parziali, legati a quelli finali, che consentissero all’organizzazione comunista di alimentare una relazione viva e costante con il movimento operaio e popolare.

Ed è sulla base di questi presupposti, che, con altri importanti elementi confluiti nel più ampio dibattito sulla bolscevizzazione del partito, il PCd’I celebrò in terra di Francia, tra il 20 ed il 26 gennaio 1926, il suo III° Congresso.

Qui furono discusse ed approvate a larghissima maggioranza le Tesi di Lione, che rappresentano il maggior sforzo del gruppo dirigente comunista di applicazione dei principi della tattica e della strategia leniniste alla specifica situazione italiana.

Facendo leva sull’esperienza pratica del bolscevismo e sull’apporto teorico leniniano, calati nelle vicende della nostra storia nazionale passata e presente, nelle cinque tesi presentate – ma in particolare nella IV° – si analizzano i punti di forza ma soprattutto di debolezza del capitalismo italiano, le sue contraddizioni e lotte intestine; si ribadisce la centralità del proletariato in quanto guida di quella parte maggioritaria della società oppressa dal grande capitale; si individuano i passaggi tattici necessari per il raggiungimento dell’alleanza a fini rivoluzionari delle due principali forze motrici della rivoluzione socialista in Italia: la classe operaia ed i contadini poveri.

In una fase politica che viene considerata – sia per il possibile insorgere di contrasti nel blocco sociale borghese che sosteneva il fascismo, sia per le crescenti tensioni internazionali – alla stregua di un periodo di preparazione rivoluzionaria, la direzione gramsciana rivendica, senza mai perdere di vista gli obbiettivi strategici finali – la rivoluzione socialista, la guerra civile, la dittatura del proletariato – la sua volontà di “fare politica”, di adottare quelle scelte tattiche che permettano al partito di mantenere un saldo rapporto dialettico con le masse lavoratrici in tutte le fasi intermedie che esse avessero attraversato prima di giungere all’ultima e decisiva – lo sbocco rivoluzionario – e di influire con le proprie iniziative sugli sviluppi generali di determinati passaggi politici.

Il III° Congresso del PCd’I costituì un passo decisivo verso la piena acquisizione del leninismo e la bolscevizzazione del partito, con la sconfitta dell’estremismo e la costruzione di un’organizzazione in grado di affrontare le drammatiche prove che avrebbero atteso i comunisti italiani.

Nei 100 anni trascorsi dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia molti accadimenti si sono succeduti, culminando con il fallimento delle prime esperienze del potere proletario e con la sconfitta, sia pure transitoria, del socialismo.

A coloro che ancor oggi difendono questo enorme patrimonio storico e questi ideali si ripropongono, in un mondo segnato da uno spietato ed apparentemente invincibile sistema di dominio capitalista ed imperialista, sfide di enorme rilevanza.

È compito ineludibile per i comunisti del XXI° secolo ripercorrere, utilizzando le “armi” della critica e dell’autocritica, le vicende del nostro passato. Ma ciò è possibile solo liberando da elementi meramente formali e simbolici – cui i comunisti si sono spesso aggrappati in questi anni di forte ripiegamento – la forza e la vitalità contenute negli insegnamenti del marxismo e del leninismo, che appaiono ancor oggi gli strumenti imprescindibili per comprendere fino in fondo i mutamenti intervenuti nella composizione delle diverse classi sociali – soprattutto nel proletariato – nelle loro dinamiche e contraddizioni interne, nelle relazioni che tra queste intercorrono, soprattutto a seguito delle grandi trasformazioni apportate dal capitalismo nei processi della produzione e della comunicazione.

Solo un’attenta analisi di questi cambiamenti può consentire ai comunisti di riallacciare con la propria classe di riferimento quel rapporto profondo e dialettico che fu uno degli aspetti che maggiormente incisero sulle possibilità di crescita del PCd’I.

Il tipo di rapporto da costruire con le masse lavoratrici e proletarie rimanda alla questione del “modello” di organizzazione, ed in prospettiva di partito, di cui i comunisti debbono dotarsi per recuperare quel legame messo oggi a così dura prova.

Un nodo che ci riporta a quel dualismo tra il partito “organo” della classe ed il partito “parte” della classe, che tanto influenzò la dialettica interna al PCd’I nei suoi primi anni di vita.

Certo è che di fronte allo stato di frammentazione e di disorientamento in cui si dibatte il movimento comunista, la sua capacità di relazionarsi in modo credibile alla classe ed alle sue avanguardie non può prescindere da un processo di ricomposizione delle medesime forze comuniste. Un obiettivo che non può essere assolutamente soddisfatto dalla presenza di tanti piccoli partiti “comunisti” autoreferenziali e, di fatto, isolati dal conflitto di classe e dai settori più combattivi del proletariato.

Occorre piuttosto che i comunisti lavorino attorno ad una proposta organizzativa inedita, ad una organizzazione comunista intermedia, tra la odierna frantumazione ed il futuro partito, che attraverso la costituzione e l’azione di cellule comuniste all’interno della classe, ne favorisca la formazione di quadri, l’organizzazione e la mobilitazione, creando quindi nel vivo della lotta di classe le basi necessarie per la ricostruzione di quel Partito comunista che avrà come fine ultimo la rivoluzione proletaria e la vittoria del Socialismo.

Gennaio 2021

La Commissione politica di Coordinamento Comunista Lombardia, Coordinamento Comunista Toscano, Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

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