L’inizio del 2023 in Francia è stato scosso da una serie di partecipatissimi scioperi e imponenti manifestazioni che hanno visto riversarsi nelle strade di tutto il paese milioni di lavoratrici e lavoratori, pensionati e studenti in opposizione alla riforma (ma si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria contro-riforma) delle pensioni che il governo francese sta cercando di far passare a tappe forzate.
È da tempo che non si vedevano tutti i sindacati, ‘istituzionali’ e di base, proclamare insieme gli scioperi; gli studenti, vessati dall’introduzione negli anni scorsi dell’alternanza scuola-lavoro (si calcola oltre un milione di studenti-lavoratori), unirsi ai lavoratori insieme ai giovani precari che non riusciranno mai ad accumulare gli anni di contribuzione necessari alla pensione, insieme alle donne, le più penalizzate dalla riforma a causa degli stipendi inferiori a quelli degli uomini, dell’alta incidenza di lavori part-time, dall’interruzione dei periodi lavorativi per la maternità, l’assistenza in famiglia ai figli e agli anziani, a causa dei tagli ai servizi sociali.
Queste mobilitazioni sono in continuità con quelle della fine del 2022 indette per rivendicare aumenti salariali sull’onda del malcontento prodotto prima dall’aumento della povertà, soprattutto tra i giovani durante la pandemia, e poi dall’inflazione; hanno saputo coagulare la solidarietà di lavoratrici e lavoratori di vasti settori che talvolta si è espressa in forme originali come nel caso degli interventi dei Robin Hood di EDF (la principale azienda francese fornitrice di energia), lavoratori che si sono prestati a ripristinare l’elettricità alle famiglie e agli organismi sociali a cui era stata tagliata dall’azienda per l’impossibilità di pagare le bollette.
In sintesi, nei suoi aspetti principali, la contro-riforma delle pensioni prevede l’innalzamento dell’età minima pensionabile da 62 a 64 anni entro il 2030 e l’aumento degli anni di contribuzione da 41 a 43 dal 2027, con penalizzazioni (la pensione ‘piena’ si ottiene a 67 anni); l’equiparazione dei dipendenti pubblici, che attualmente godono di condizioni più favorevoli, a questo stesso trattamento; innalzamento di 2 anni dell’età pensionabile anche nel caso di lavori riconosciuti come usuranti; abolizione delle forme pensionistiche speciali (trattamenti più favorevoli) per i nuovi assunti; aumento dell’importo mensile delle pensioni più basse, in alcuni casi, a quasi 1.200 euro lordi (importo che tuttavia risulta inferiore alla soglia di povertà in Francia, soprattutto per chi vive in città), da settembre 2023.
Rispetto ai requisiti di pensionamento che abbiamo oggi in Italia, grazie alla riforma Fornero, quelli previsti dalla riforma francese possono apparire meno penalizzanti ma, in realtà, bisogna tenere conto delle condizioni di lavoro particolarmente pesanti che vivono gli operai in Francia. Secondo i dati dell’INSEE (l’istituto nazionale di statistica francese) gli operai hanno una speranza di vita significativamente inferiore rispetto a quella di un quadro o di un dirigente e un’alta probabilità di sviluppare una patologia invalidante prima dei 60 anni; inoltre, ben il 20% dei lavoratori a basso reddito muore prima di andare in pensione o vi sopravvive pochi anni.
L’attacco alle pensioni viene da lontano e ha sempre incontrato, in Francia, una massiccia risposta in termini di scioperi e manifestazioni: nel 1993 il governo aumenta il numero minimo di anni di contribuzione necessari per il settore privato; nel 1995 la riforma organica delle pensioni per il settore pubblico, inserita in un piano più ampio di revisione dello stato sociale, viene bloccata dalle imponenti mobilitazioni delle lavoratrici e dei lavoratori: il governo ‘cede’ sulle pensioni dei dipendenti pubblici ma fa passare i provvedimenti più strategici per la borghesia, ossia i tagli alla sanità e ai servizi pubblici, la privatizzazione degli enti statali dell’energia, della telefonia, delle poste, dei trasporti ecc.; nel 2019 un nuovo tentativo di riforma con contenuti analoghi a quelli attuali viene accantonata dopo mesi di scioperi unitari in tutti i settori dell’economia e a causa dello scoppio della pandemia.
Le motivazioni addotte dal governo francese per procedere con la sua riforma sono sempre le stesse e sono quelle che conosciamo bene anche in Italia: l’invecchiamento della popolazione, il rapporto sempre più sfavorevole tra lavoratori occupati che versano contributi e pensionati. La presunta necessità, quindi, di salvare il sistema previdenziale, che in Francia è ora in deficit di 2 miliardi di euro, che altrimenti andrebbe in fallimento.
In realtà, l’attacco alle pensioni sferrato dal governo francese con questa contro-riforma è una precisa scelta politica che, stando proprio ai numeri, poteva essere evitato: tenendo conto, ad esempio, dell’aumento di 100 miliardi delle spese militari e degli oltre 150 miliardi destinati al sostegno delle imprese, risulta evidente che 2 miliardi per ripianare il deficit del sistema previdenziale si sarebbero potuti trovare senza particolari sforzi economici. Ma non solo, secondo il COR (Consiglio di Orientamento per le Pensioni, organo preposto ad analizzare le questioni pensionistiche e formulare raccomandazioni al Primo Ministro), nonostante l’attuale deficit, le spese per le pensioni sono sotto controllo e nel lungo periodo sono destinate a stabilizzarsi per poi diminuire, facendo tornare in attivo il sistema previdenziale.
Il motivo vero per il quale la previdenza sociale deve progressivamente essere affossata va ricercato nelle crisi cicliche che, dagli anni ’70 del secolo scorso, investono sempre con maggior frequenza e profondità il sistema capitalista nei paesi imperialisti europei e riducono sempre più i margini di profitto. Le borghesie di questi paesi sono costrette a recuperare la quota di ricchezza sociale che le lotte operaie hanno storicamente strappato ai profitti per conquistare il diritto al riposo dopo anni di lavoro, indirizzandola a favore dei monopoli e dell’oligarchia finanziaria. Questo viene ottenuto principalmente con l’allungamento della vita lavorativa, il dirottamento delle risorse pubbliche che finanziano il sistema previdenziale verso le imprese private, la destinazione più o meno forzata dei contributi dei lavoratori ai fondi pensione privati, gestiti da società finanziarie e compagnie di assicurazione, per le quali si apre un vero e proprio nuovo redditizio mercato finanziario.
Per la borghesia, i pensionati non sono persone che, dopo una vita di lavoro attraverso la quale hanno creato la ricchezza per tutti, hanno il diritto di godersi gli anni di vita che gli restano in buona salute, coltivando i propri interessi; per la borghesia sono forza-lavoro non più utilizzabile per ricavarne profitto, sono “risorse umane” obsolete e costose.
Per questo, ma anche per l’assenza di un partito in grado di centralizzare la forza delle lavoratrici e dei lavoratori e di rappresentarne strutturalmente gli interessi, prima o poi, il governo francese farà in qualche modo passare la contro-riforma delle pensioni (analoghi provvedimenti sono già stati adottati o lo saranno a breve in tutti i paesi imperialisti europei); il governo lo farà, se necessario e come già ventilato, anche senza l’approvazione dell’Assemblea Nazionale (il parlamento francese) facendo leva sull’art. 47.1 della Costituzione che consente al governo, dopo 50 giorni di esame del testo, di promulgare la legge per decreto, senza alcuna votazione. D’altra parte l’involuzione in senso autoritario del governo francese, acceleratasi durante la gestione criminale della pandemia e nell’emergenza per la guerra in Ucraina, è un processo comune a tutta l’Europa e che subiamo anche in Italia.
Tutto ciò, comunque, non potrà cancellare il grande merito di queste mobilitazioni francesi che, rispolverando nelle manifestazioni un vecchio slogan del secolo scorso “no alla pensione dei morti”, hanno riproposto con forza la questione del ruolo dei lavoratori pensionati, e più in generale degli anziani, nella società.
Un ruolo che era stato delineato, negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, proprio all’atto dell’istituzione del sistema di previdenza sociale francese, non a caso, da parte del ministro comunista Ambroise Croizat, operaio metallurgico e membro della Resistenza, descrivendo la pensione “non come l’anticamera della morte, ma come una nuova tappa della vita”, quindi non come un reddito per i lavoratori che non potevano più partecipare al processo produttivo, ma come un meritato periodo in cui si è ancora in buona salute e ci si può dedicare alle attività che non si potevano svolgere durante la carriera lavorativa, alla cultura, alla socialità.
14 Febbraio 2023
