La situazione economica in Siria

Com’era la Siria prima del decennio di fuoco che ha bruciato la Siria popolo e terra per comprendere meglio la situazione grave in cui si si trova questo paese occorre descrivere le condizioni antecedenti.
Questo passaggio è necessario per capire meglio il disastro che ha colpito il paese arabo con la cosiddetta rivoluzione siriana e l’aggressione imperialista e sionista.
Malgrado la situazione di guerra vissuta dalla Siria per decenni, 1948-2011, che depauperò la sua fragile economia e, soprattutto, dopo la guerra del 1973, il governo siriano ha iniziato a fare passi verso una strategia economica che oggi chiamiamo “economia di resistenza”. Il cardine di questa strategia era l’indipendenza dai fattori esterni pensando allo sviluppo interno, sia come produzione sia come mercato. Un aiuto immenso a livello dello scambio ci fu grazie al blocco dei paesi “socialisti” e da quelli non allineati.
Per uscire dalle condizioni di arretratezza tecnologica ed industriale i vari governi siriani hanno investito molto in materia di istruzione e formazione dei propri cittadini. Scuole e università potenziate, decine di migliaia di studenti sono mandati a studiare all’estero, soprattutto nelle università dei paesi “socialisti”. In poco tempo la situazione sociale e culturale in Siria viene rivoluzionata e questo si rispecchia sulla vita quotidiana dei cittadini che per lo più si attesta su livelli medi, di non povertà e tanto meno di non troppo agio.
La scelta dello Stato siriano di questo tipo di economia l’ha preservato dall’indebitamento e dai condizionamenti che ne derivano. Anche la scelta di dividere la Siria in diverse aree di produzione è stata una strategia azzeccata:
1- la zona di Damasco (meridionale) come centro per lo più culturale;
2- la zona di Aleppo (settentrionale-occidentale) come centro industriale;
3- la zona centro-orientale come agricolo.
Questa scelta fu dettata da due fattori principali:
– allontanare l’industria dai confini meridionali e lontano dai raid aerei israeliani
– mettere l’agricoltura vicino alle sorgenti d’acqua.
La Siria e l’Iraq in misura minore sono stati gli unici paesi arabi che hanno raggiunto lo stato di autosufficienza in:
– produzione agricola
– produzione di medicinali
– produzione energetica
– produzione industriale in varie materie
– in servizi come l’istruzione, la sanità.
Malgrado questo sviluppo i margini delle libertà personali non andarono di pari passo e con la scusa dello stato di emergenza (diventato quasi permanente), il dissenso politico era quasi un tabù e punito con il carcere. Probabilmente è questo il fattore principale che incendiò la Siria.
La situazione con la guerra
L’aggressione che la Siria ha dovuto affrontare e che dura fino ad oggi ha comportato una distruzione quasi totale su tutti i fronti sia umano che industriale. L’embargo decretato dall’imperialismo occidentale ha dato il colpo mortale ad un paese agonizzante.
Sul piano umano l’aggressione, oltre a dividere il territorio, ha diviso il popolo. Fino ad oggi metà del popolo siriano vive fuori dal territorio controllato dallo Stato di cui quasi 7 milioni vivono all’estero nei campi profughi in Turchia, Libano e Giordania e quasi 2 milioni fuori dalla regione. Altri 4 milioni circa si trovano nei territori siriani controllati dai vari gruppi terroristici: Idlib, il nord della provincia di Aleppo, le provincie di Arraqqa e di AlHasaka.
a) Questa mancanza di popolo rende l’operazione della ricostruzione, ripresa e sviluppo alquanto difficile e lenta, manca in certa misura la mano d’opera e l’intellighenzia;
b) manca ancora il controllo sul proprio territorio e in particolare quello orientale di vitale importanza la sua ricchezza nelle fonti energetiche e di territorio agricolo. Questo territorio è ancora occupato dalle truppe yankee e dalle forze curde che ciclicamente derubano sia il petrolio estratto dai pozzi presenti in queste zone, sia i prodotti agricoli (il grano in particolare) privando lo Stato siriano di queste risorse per approvvigionarsi con conseguenze gravi sul processo economico e sulla vita quotidiana dei cittadini ed anche per la mancanza di gas per usi civili (produzione di elettricità e gas per la cucina). Il governo siriano è costretto a comprare quasi tutto dall’Iran con costi aggiuntivi, soldi che sarebbero tornati utili per la ripartenza dell’economia.
L’embargo decretato dall’amministrazione Trump impedisce gli investimenti di aziende straniere in Siria per paura di ritorsioni.
Va ricordato inoltre che il settore industriale è stato in parte smantellato e venduto in Turchia e in parte distrutto. In poche parole lo Stato siriano si è trovato a ripartire quasi da zero e, attualmente, sta elargendo aiuti a vari investitori nazionali per riprendere le attività nelle zone liberate.
In conclusione la situazione economica in Siria a dire poco è disastrosa anche se le prospettive sono abbastanza allettanti o promettenti. Ma per vedere cambiamenti significativi bisogna aspettare almeno un paio d’anni e vedere come andranno a finire le trattative con la Turchia per acconsentire il ritorno di 3,5milioni di siriani, e per lo smantellamento dei gruppi terroristici sotto la sua influenza.
Con lo sblocco di questa situazione diventa facile sbloccare anche quella con il Libano e il ritorno di un milione di siriani rifugiati nel paese dei cedri.
Per quanto riguarda i territori orientali, le truppe occupanti yankee si troveranno costrette a sloggiare onde evitare di essere circondati da forze ostili e contro le quali non sono in grado di difendersi (truppe insufficiente numericamente ad ingaggiare una guerra, 1500 soldati circa).

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