Il futuro del pianeta è nelle nostre mani

Riceviamo e pubblichiamo:

Il 12 febbraio 2021 il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno approvato definitivamente il regolamento sul Recovery Fund e la Commissione europea lo stesso giorno ne ha stabilito, con una comunicazione, gli orientamenti tecnici e la corretta applicazione sulla base del principio del “non arrecare un danno significativo contro l’ambiente”.

Il Recovery Fund è lo strumento chiave di Next Generation EU, il mega piano per la ripresa economica post Covid. Il 37% dei 672 miliardi stanziati per prestiti e sovvenzioni è destinato a spese per progetti rivolti alla difesa del clima. Di conseguenza se un progetto-investimento conduce a significative emissioni di gas-serra e arreca un danno alla mitigazione dei cambiamenti climatici non può essere inserito nei Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr), non essendo rispondente al primo obiettivo.

La sostenibilità ambientale sembra, perciò, rappresentare uno scopo irrinunciabile per i governi mondiali. In realtà, il vero contenuto dei loro buoni propositi, emerge nell’uso dei termini “ecosistema digitale” o “ecosistema delle innovazioni”, dove al centro sono l’uso e la sostenibilità digitale cioè” lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. (rapporto Brundtland del 1987 dell Onu)”.

Purtroppo i bisogni delle generazioni future e soprattutto la vita del pianeta non possono essere rispettati se l’interesse è rivolto prevalentemente all’uso del digitale che non è affatto grenn, pur essendo questo il loro cavallo di battaglia. Infatti le tecnologie informatiche, hanno un impatto ambientale tutt’altro che basso dando origine a un problema reale, preso in considerazione solo da pochi anni.

La rete virtuale, che sembra non avere ripercussioni ecologiche, in realtà comporta dispendi energetici notevoli: maggiore è la richiesta di dati, maggiore è il dispendio energetico di server e dispositivi, maggiore è l’inquinamento. Ogni giorno 35 milioni di persone solo in Italia passano più di due ore connesse a internet, ignorando che l’uso dei dispositivi: la telefonia mobile, fissa, la  banda larga, la radio diffusione circolare, contribuiscono al riscaldamento globale e all’inquinamento.

Si stima che il consumo di energia delle nuove tecnologie digitali corrisponda a emissioni di 830 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari al 2% delle emissioni globali totali (in questo anno 2021 dovrebbe essere già raddoppiato) e il 4% sono responsabili delle emissioni di gas serra, una cifra che potrebbe raddoppiare entro nel 2025. Nel suo complesso, internet è responsabile di circa il 7% del consumo energetico globale. La sua fame di elettricità sale al 8% ogni anno che passa. Non dobbiamo, infatti, dimenticare.

In poche parole, internet non è ecologicamente sostenibile, e mentre le foreste in Amazzonia e in Siberia bruciano e ghiacci dell’antartico si sciolgono, l’impatto della rete su un pianeta provato dalla crisi climatica non può essere sottovalutato. I cambiamenti climatici a cui internet contribuisce in maniera importante potrebbero anche devastare la rete stessa; nei prossimi 15 anni in uno scenario in cui si stima che livello del mare si innalzerà di 30 cm. oltre 6000 km di cavi di fibra ottica verranno irreversibilmente sommersi; sulle due coste degli Stati Uniti potrebbe essere sommerso il 20% di tutti i cavi. Ciò ha costretto alcune grosse aziende di telecomunicazioni come la maggiore compagnia telefonica texana At&t (American Telephone and Telegraph Incorporated), a studiare gli effetti del cambiamento climatico per scongiurare che venga messa a rischio la sua stessa infrastruttura.

Negli ultimi anni al “conto degli agenti inquinanti’ “si è aggiunto lo sviluppo esponenziale dell’ecommerce, che ha indotto l’ aumento degli imballaggi per spedizioni, dei corrieri su gomma, comportando un maggior sfruttamento di combustibili fossili, e del materiale da smaltire. Su un totale di oltre 2 milioni di tonnellate di plastica prodotte, circa il 15% è dovuto a queste forme di commercio. Inoltre per la produzione degli smatphon, tablet, computer portatili sono indispensabili i c.d. metalli rari, estratti da miniere collocate in gran parte nei paesi più poveri del mondo, in particolare in Africa e in Sudamerica, con l’enorme sfruttamento delle popolazioni locali che, non solo muoiono a causa delle pessime condizioni di lavoro nelle miniere, ma anche per i disastri ambientali conseguenti all’inquinamento.

Non possiamo, dunque, credere a quanto propagandano le istituzioni e affidarci nelle loro mani: i loro interessi coincidono con quelli dei grossi capitalisti non certamente con i nostri. La loro necessità è attuare la “quarta rivoluzione industriale” con l’economia digitale e per ottemperare a questo scopo devono risolvere il problema energetico con l’introduzione delle fonti rinnovabili ma anche con il “nucleare green” per far fronte sia all’esaurimento dei combustibili fossili sia alla loro eccessiva capacità inquinante.

Il nostro compito è prendere e far prendere coscienza di quanto l’emergenza climatica metta a rischio la sopravvivenza di tutta l’umanità e, diffidando degli “imbrogli ecologici,” diventare parte attiva del nostro futuro e avere il coraggio di rinnegare un progresso che non corrisponde all’interesse dell’uomo individuale e collettivo. Per salvare il pianeta non dobbiamo esitare a fare un passo indietro.

Viareggio 24 settembre 2021

Comitato contro il piano delle antenne e 5G

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