Estratto dal documento programmatico:
La questione ambientale è strettamente collegata alla contraddizione principale della produzione capitalista: la contraddizione capitale-lavoro. L’economia capitalista, in qualsiasi modello essa si presenti, ha come unico obiettivo produrre il maggior profitto al minore costo possibile. Questa finalità, legge principale dello sviluppo capitalista, presuppone lo sfruttamento completo della forza lavoro, delle risorse naturali e lo stravolgimento dell’ambiente come strumento al servizio del profitto.
Avanzando la sfrenata accumulazione capitalista si riduce di più lo ‘spazio ecologico’ che permette la vita del genere umano e di numerose altre specie. La legge generale dell’accumulazione capitalistica è, dunque, allo stesso tempo legge generale della crescente e accelerata devastazione umana e ambientale.
Il capitalismo è il massimo responsabile della crisi ecologica globale e si rivela un sistema storicamente superato ed ecologicamente insostenibile che minaccia biosfera e la sopravvivenza del genere umano.
Nella campagna diffamatoria della borghesia contro idee e politica comunista, si è diffusa la menzogna secondo cui i comunisti non hanno mai affrontato chiaramente il tema ambientale e sottovalutato il problema a scapito del concetto di sviluppo delle forze produttive, ma questo non corrisponde alla realtà. Infatti Marx e Engels hanno affrontato nei loro scritti la questione dello sfruttamento della natura e la rottura degli equilibri degli ecosistemi. Le attività umane hanno la loro base nella natura, la trasformazione della natura è trasformazione degli esseri umani.
Per i fondatori del socialismo scientifico, l’inquinamento è non solo un crimine nei confronti della natura, ma anche un costo di classe, perché le sue conseguenze, come la distruzione ambientale, gravano essenzialmente sulle classi lavoratrici, che vivono nei pressi delle fabbriche inquinanti o nei territori inquinati o devastati (Taranto, terra dei fuochi, stravolgimenti ambientali in Amazzonia o in Indonesia, ecc.). I capitalisti non hanno alcun interesse a investire profitti per abbattere l’inquinamento o risanare l’ambiente devastato.
Marx rilevava nei Grundrisse, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica: “Nelle economie capitaliste, una piccola minoranza, guidata dalla concorrenza e dalla ricerca di profitti sempre maggiori, controlla i mezzi di produzione. Il sistema impone un impulso all’accumulazione dei singoli capitalisti e questo si concentra su guadagni a breve termine che ignorano gli effetti a lungo termine della produzione, comprese le sue conseguenze per l’ambiente naturale”.
La natura è, per Marx, madre della ricchezza almeno quanto il lavoro, che è, del resto, espressione di una forza naturale.
La natura dà valori d’uso che assumono rilevanza nella società del capitale solo in quanto sono suscettibili di trasformarsi in valori di scambio, in merci, trasformazione che avviene attraverso l’impiego della forza-lavoro umana da parte del capitale.
Nell’attuale società, la classe capitalistica si è appropriata della natura e la tratta come cosa che gli appartiene, costringendo gli esseri umani che non posseggono nulla se non le proprie braccia, a essere schiavi della classe appropriatasi delle condizioni materiali del lavoro. Gli uni possono lavorare e vivere solo con il permesso e a beneficio degli altri. I prodotti di questa combinazione, trasformati o semplicemente curati e raccolti, entrano nel mondo dello scambio, circolano come capitale per valorizzare il capitale stesso ed è in questo modo che la loro origine naturale, l’origine di valori d’uso, diviene del tutto trascurabile.
Già in Marx c’è la tesi economica e filosofica che mette a nudo il rapporto di produzione su natura ed essere umano. Il capitalismo trasforma la natura in merce attraverso lo sfruttamento delle materie prime (vegetali, animali, minerali) e gli esseri umani come prodotto della natura non ne sono esenti. Natura e ambiente hanno il loro valore. Marx lo mette in luce dimostrando che è il modo capitalistico di produzione a snaturarli, disconoscerli, saccheggiarli e distruggerli, il tutto subordinato alla necessità dei profitti, ovunque e comunque.
Per Marx, la storia del mondo è la generazione dell’essere umano mediante il lavoro, la riproduzione e la trasformazione della natura, opera del genere umano, che dall’inizio della sua evoluzione ha avviato l’uso della natura al servizio del suo progresso, con la coltivazione della terra, l’allevamento degli animali, l’uso delle risorse naturali sino all’inizio dell’era capitalista.
Marx non nega qualsiasi intervento umano sulla natura, nega interventi che la modificano in senso contrario agli interessi della specie e degli equilibri ambientali.
L’idea del comunismo in Marx non è quindi ‘il ritorno alla natura’ tipico di anarchici e ambientalisti integralisti piccolo borghesi (che non tengono conto dell’umanizzazione millenaria dell’ambiente), ma la produzione dell’essere umano come essere sociale “maturato dentro la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi”. Cioè l’individuo sociale alienato dai bisogni che solo la società divisa in classi ha creato.
Anche Engels riprende il tema in vari scritti, riproponendo il problema del rapporto uomo-natura e degli effetti imprevedibili che lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali può causare ai territori e all’ambiente. La natura si vendica delle ‘vittorie’ umane su di essa. Nell’opera del 1876, Dialettica della Natura, Engels evidenza come certe attività produttive siano causa di impoverimento dei territori e di devastazione.
Ad esempio, le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell’Asia minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano di creare le condizioni per l’attuale desolazione delle regioni, in quanto sottraevano a esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e di deposito dell’umidità. Per regolare gli effetti sociali e naturali, immediati e remoti, delle attività produttive umane occorre “un completo rivolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi” (Engels, ibidem).
Quanto espresso da Marx e Engels, sul rapporto uomo-natura e sullo sfruttamento delle risorse naturali, viene elaborato e usato nella pratica da Lenin e dal Partito bolscevico dopo aver conquistato il potere con la Rivoluzione d’Ottobre. Due giorni dopo la presa del potere, Lenin firma il decreto Sulla terra, che stabilisce la proprietà statale delle foreste, delle acque e dei minerali del sottosuolo e riserva allo Stato il potere di disporne.
Non è vero che il movimento comunista non si sia occupato di questioni ambientali. Lo Stato sovietico e il partito bolscevico non hanno mai posto in secondo piano la difesa della salute dell’operaio, del contadino, del cittadino e la salvaguardia dell’ambiente naturale. Vi è stato nel tempo, questo sì, un allontanamento teorico dalla questione ambientale da parte dei comunisti sovietici e del movimento comunista, assorbiti dalle necessità dell’industrializzazione socialista, di difendere conquiste e spinte rivoluzionarie dalla reazione internazionale e dai potenti nemici imperialisti. Guerre, invasioni e controrivoluzione hanno fatto sì che il paese guida della rivoluzione mondiale fosse impegnato su fronti di emergenza continui, con la conseguenza di far passare in secondo piano lo sviluppo delle teorie di Marx e Engels sul rapporto genere umano-natura.
Oggi, dopo decenni di accumulazione capitalistica, lo sfruttamento intensivo delle primarie risorse naturali ha impoverito interi paesi, in particolare lo sfruttamento dell’acqua ha ridotto le riserve idriche di vaste regioni ed escluso popolazioni dal suo utilizzo. L’industrializzazione della produzione agricola ha affamato centinaia di milioni di contadini e accelerato l’abbandono delle campagne, con la conseguente devastazione dei territori. L’introduzione degli OGM in agricoltura ha ridotto i contadini poveri di numerosi paesi a schiavi dell’industria agricola, la sola proprietaria delle sementi; l’uso massiccio di concimi chimici e di diserbanti, oltre a rendere nocivi i prodotti delle coltivazioni destinati all’alimentazione, provocano un progressivo inaridimento dei terreni.
Nel suo stadio monopolistico, il capitalismo tende costantemente alla saturazione dei mercati e alla sovrapproduzione; produce merci dall’obsolescenza programmata, difficilmente riparabili in caso di guasti o addirittura progettate secondo il concetto dell’usa e getta per aumentare le vendite, nonché immense quantità di merci inutili, dannose e di lusso per una minoranza; è caratterizzato dagli sprechi economici, dalle gigantesche spese militari e improduttive, dal parassitismo. La spinta al consumo continuo di merci ha aggravato i problemi dei paesi a capitalismo avanzato per lo smaltimento dei rifiuti, in molti casi smaltiti con sistemi illegali e con il contributo delle ecomafie che usano i territori o i mari, in particolare di nazioni più povere e corruttibili, come discariche di tutta l’immondizia prodotta, con tragiche conseguenze..
La corsa al massimo profitto e la concorrenza tra monopoli determinano l’uso di enormi quantità di energia prodotta da combustibili fossili e di risorse naturali, la produzione di masse di rifiuti che non possono essere assorbite dall’ambiente. Conseguenza di ciò, sono fenomeni sempre più gravi: riscaldamento globale, ondate di calore, scioglimento dei ghiacci, desertificazione, perdita di biodiversità, che impattano sulle condizioni di vita e di lavoro, soprattutto delle classi sfruttate e oppresse.
L’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione ha generato nuovi rischi per la salute dei cittadini dei paesi capitalisti avanzati, ampiamente compromessa dall’inquinamento ambientale e atmosferico. La proliferazione di maggiori e potenti ripetitori al servizio del sistema di telecomunicazioni peggiora le conseguenze dell’inquinamento elettromagnetico e aggrava gli effetti nocivi sulla salute.
La scienza, asservita al grande capitale si è trasformata nel suo contrario, è passata da ‘liberatrice dei popoli’ a stampella dei grandi potentati economici con tutto ciò che ne consegue. Armi micidiali, energia per lo spreco, veleni per supportare le piante e colture prodotte dai signori della terra, manipolazioni genetiche, deforestazioni, trasformazione di intere zone geografiche con la sostituzione di colture: ecco alcuni esempi del business contro la natura.
I fatti mostrano che non può esistere un ambiente integro e salubre nel capitalismo, come non può esistere un capitalismo ‘rispettoso’ dei limiti imposti dalla natura.
Come lo sfruttamento capitalistico del lavoro genera il movimento operaio, così lo sfruttamento capitalistico della natura genera un movimento ambientalista. La crisi ecologica spinge lavoratori, giovani e popoli a una crescente mobilitazione per difendere la natura e l’ambiente, alla presa di coscienza della crisi come conseguenza dell’attuale modo di produzione; ampie fasce di settori sociali si organizzano per fermare l’accaparramento da parte delle multinazionali delle risorse naturali o bloccare progetti di sviluppo indiscriminato di infrastrutture inutili e dannose. È utile ricordare la lotta dei popoli indigeni del Sud America contro lo sfruttamento del petrolio, del gas e dell’acqua da parte di multinazionali USA, cinesi, francesi e italiane o la vicina lotta in Val di Susa.
In Italia non c’è provincia senza comitati di cittadini che contrastino politiche di devastazione ambientale, dalla costruzione o ampliamento degli inceneritori, all’insediamento di nuove antenne per la telefonia mobile di ultima generazione 5G, alla costruzione di grandi opere.
È aumentata, a livello mondiale e, in particolare nelle giovani generazioni, la sensibilità verso i temi ambientali; lo si è constatato con il consenso a movimenti sulla campagna per il clima e contro le plastiche.
I movimenti e le teorie ambientaliste che propongono metodologie di lotta e intervento individuale scaricano le responsabilità di una possibile soluzione delle problematiche ambientali sul singolo individuo, non più considerato essere sociale appartenente a una classe ma come generico cittadino. Le tesi sul consumo consapevole o sull’utilizzo cosciente dell’energia e delle risorse naturali o alle politiche di raccolta differenziata dei rifiuti disarmano le masse di fronte al vero nemico: il capitalismo, offrendo una notevole sponda alla gestione borghese della questione ambientale (Green Economy), peraltro promossa dalla borghesia solo perché diventata conveniente dal punto di vista dei profitti e solo in quei settori dove questo è massimo.
La contraddizione ambientale è una questione strettamente collegata alla contraddizione principale capitale-lavoro. Lavorare in sicurezza, in ambienti sani, per produzioni pulite a basso impatto inquinante vuol dire salvaguardare salute e vita dei lavoratori, dei familiari e rompere con logica della devastazione.
I padroni hanno criminalmente costretto i lavoratori a vendere la propria forza lavoro per produzioni belliche, per lavori nocivi e mortalmente inquinanti, sottacendo la reale pericolosità di quelle produzioni, con il silenzioso avvallo dei sindacati collaborazionisti.
Gli effetti drammatici di queste produzioni infestanti si sono avuti nei lavoratori, nelle loro famiglie, nelle popolazioni proletarie che vivono nei pressi delle aree industriali e nei territori resi improduttivi; ricordiamo le migliaia di morti causati dalla produzione dell’amianto; l’alta densità di morti per tumori nei quartieri popolari costruiti nelle vicinanze delle fabbriche con produzioni altamente inquinanti; la tragica vicenda di Bhopal in India (1984) dove morirono migliaia di proletari avvelenati dalla nube tossica uscita da una fabbrica di fitofarmaci legata a una multinazionale USA.
I comunisti devono intensificare lo studio delle problematiche ambientali e devono approcciare la questione su come affrontare la contraddizione capitale/natura senza separarla dalla contraddizione fondamentale capitale-lavoro.
Solo rovesciando i rapporti di produzione capitalistici si possano abolire le cause e contrastare gli effetti del cambio climatico. La lotta per la salvaguardia dell’ambiente va inscritta nella lotta generale per l’abbattimento del moribondo sistema capitalista-imperialista.
Al consumismo sfrenato che il capitale impone come visione di benessere, occorre contrapporre la vera e unica ricchezza, antitesi della corsa al consumo che fa perdere la base principale di una migliore qualità della vita, che è la riappropriazione dell’uso del tempo, non più venduto al padrone per produrre merci da consumare continuamente, ma dedicato a una emancipazione sociale e a stabilire una sana relazione con la natura e la tecnologia.
Senza proprietà e controllo sociale delle fonti di energia e dei combustibili, dei sistemi energetici (produzione, trasmissione, distribuzione e consumo dell’energia), senza la nazionalizzazione socialista delle industrie e della terra, non può esservi soluzione del problema energetico e ambientale.
Il socialismo, ossia una società che abolisce la proprietà privata dei mezzi di produzione, potrà realizzare un’organizzazione cosciente della produzione sociale nella quale si produrrà e si ripartirà con un piano, si regolerà razionalmente lo scambio materiale fra esseri umani e natura, si ristrutturerà l’economia sulla base dell’utilizzo di energia rinnovabile; la contraddizione fra attività produttiva umana e natura esisterà nella società socialista, ma da antagonista potrà diventare fattore di sviluppo e di crescita.
Sul piano politico, i comunisti devono promuovere l’unità tra coordinamenti, associazioni, comitati di cittadini che si battono contro le politiche di devastazione del territorio, unire queste battaglie alla classe operaia, prima vittima dell’inquinamento; iniziare a contrastare parole d’ordine elaborate dalle tesi borghesi con parole d’ordine che mostrino il carattere classista dell’inquinamento; elaborare un programma di trasformazione della società che introduca nella coscienza collettiva la visione di una società comunista, soluzione alla distruzione.