Verso il 100° anniversario della fondazione del PCdI

Si avvicina il 100° anniversario della fondazione del Partito Comunista d’Italia – Sezione dell’Internazionale Comunista. Ogni realtà che riconosce nell’evento di Livorno del 21 gennaio 1921 le proprie radici, rivendicando quel patrimonio storico, politico e ideologico, si prepara a celebrare la ricorrenza, sviluppando il dibattito, i contatti e le iniziative, nelle difficili condizioni di una pandemia che mostra la palese mancanza di prospettiva del sistema capitalista-imperialista.

Con la fondazione del Partito, il proletariato del nostro paese uscì dalla “preistoria” e si dotò del partito indipendente che non nacque, però, già armato di teoria rivoluzionaria, linea politica e tattica all’altezza della situazione.
La sua costituzione e la sua costruzione furono il risultato di un processo di lotta che, muovendo dalla scissione di Livorno, in cui la parte più avanzata e consapevole della classe operaia ruppe con riformismo e opportunismo predominanti nel PSI e si sviluppò negli anni successivi. Fino a definire con le Tesi di Lione (gennaio 1926), la fisionomia di un partito di tipo nuovo, marxista e leninista.
Una delle questioni fondamentali risolte in quegli anni, nel vivo dello scontro con le bande fasciste, fu quella concernente la natura, le caratteristiche e la funzione del partito.
Due concezioni si opponevano. L’estrema sinistra definiva il partito come un “organo” della classe operaia, che si realizza per sintesi di elementi eterogenei; un partito che avrebbe elaborato quadri preparati a guidare le masse quando l’ondata rivoluzionaria le avrebbe condotte alle posizioni programmatiche e di principio fissate dal gruppo dirigente. In pratica, un’attesa messianica durante la quale ai comunisti sarebbe spettata solo una funzione di propaganda o, meglio, di una fede religiosa.
Il gruppo guidato da Gramsci riconosceva il partito come “parte” integrante della classe operaia, il suo reparto avanzato, organizzato e cosciente, che orienta e dirige i migliori elementi della classe, la loro esperienza, il loro spirito rivoluzionario; un partito che deve impegnarsi a guidare la classe sforzandosi di esserle a contatto in qualsiasi situazione.
Oggi la lotta fra queste due opposte concezioni si ripresenta sotto altre forme.
Vi è chi, come la realtà comunista di questo scritto, ritiene fondamentale nella ricostruzione del partito il problema del legame fra movimento comunista e movimento operaio, affinché abbia legami solidi con la classe operaia e disponga la sua organizzazione di base, le cellule, in fabbrica e nei luoghi di lavoro.
Vi sono compagni, invece, che, sostengono un partito “senza classe”: un gruppo di soggettività scelte senza riferimento all’origine sociale, che non si costituisce nel vivo della lotta di classe, che alimenta così la frantumazione nel movimento comunista e copre il proprio vuoto di elaborazione politica con un inconsistente “scatto in avanti”.
Secondo questi compagni, la proclamazione – dettata da motivi di concorrenza politica – dell’ennesimo partitino autoreferenziale (comunque lo si voglia definire), avulso dal rapporto organico con la classe, con un programma contraddittorio e pesantemente influenzato dalle posizioni del revisionismo, determinerebbe la taumaturgica soluzione del problema.
Scomparirebbe magicamente la frantumazione, i lavoratori accorrerebbero a ingrossare le file del Partito, la rivoluzione stessa dipenderebbe dalla sua esistenza … Si tratta di illusioni che l’esperienza storica – a partire da quella del Partito di Gramsci – ha smentito categoricamente e che sono ancor più pericolose in una situazione in cui ancora si avvertono le pesanti conseguenze della sconfitta transitoria del socialismo.
Questa impostazione organizzativista e meccanicista del problema del partito nega nei fatti la funzione dirigente della classe operaia e concepisce il partito non come parte integrante e dirigente del proletariato, ma come strumento esterno alla classe, che si pone ai margini delle lotte. Una simile impostazione riduce il partito a pura “avanguardia ideologica” della classe, che ignora completamente i problemi dalla cui soluzione dipende la realizzazione dell’egemonia del proletariato.
Che origini hanno queste posizioni? In primo luogo, occorre considerare che nel nostro paese la classe operaia è circondata dalla massa ipertrofica della piccola borghesia ed esposta alla sua continua pressione; dunque al continuo pericolo di subire dai suoi intellettuali radicalizzati un’influenza deleteria che mira ad alterare la fisionomia del partito e deviarlo dalla sua funzione storica.
In secondo luogo, esse sono un sottoprodotto della ripugnante politica riformista e socialdemocratica che spinge comunisti e giovani rivoluzionari ideologicamente confusi a posizioni di rigetto puramente esteriori, con frasi a effetto e formule rossastre, condizioni e forzature basate su schemi meccanicisti e razionalistici.
Il Partito comunista è una necessità storica, dal momento che la storia contemporanea ha dimostrato che la classe operaia può avanzare e vincere nella lotta per la conquista rivoluzionaria del potere solo con il partito indipendente. Ma questa necessità non si concretizza per decreto o a data prefissata.
Il problema scottante che si pone a 100 anni dalla fondazione del PCd’I è quello dell’unità e dell’organizzazione dei comunisti e degli operai più coscienti in un embrione di partito indipendente e rivoluzionario. La soluzione di tale problema non può essere al di fuori della relazione dei comunisti con i settori avanzati della classe operaia. Un’unione che si forgia nella lotta e nel lavoro quotidiano, in cui i comunisti organizzati svolgono un ruolo vitale.
L’assunzione di responsabilità da parte nostra oggi non può limitarsi a una “accelerazione” soggettivista, così come la conquista degli operai avanzati non si realizza “in un sol colpo”. Nel nostro paese la via al Partito passa per una complessa e difficile lotta alla frantumazione e al revisionismo che l’ha generata, da condurre sulla base dei principi e nella forma più adeguata alla situazione concreta.
La forma non può consistere in una scissione, né in una confluenza in un gruppo esistente, tanto meno nella costituzione di un nuovo partito campato per aria, che si sviluppa in sé e per sé, e non come risultato di un processo materialista dialettico fra la volontà organizzativa dei comunisti e il movimento di classe.
La proposta politico-organizzativa che poniamo all’attenzione e al dibattito di tutti i comunisti e gli operai avanzati è l’avvio di un processo di costruzione di un’Organizzazione comunista intermedia (fra frantumazione e Partito), per condurre la lotta in modo centralizzato, con un organismo politico che sviluppi l’intervento sul piano teorico, politico e organizzativo, in rapporto stretto con gli elementi coscienti e combattivi del proletariato.
L’Organizzazione è nella fase attuale lo strumento indispensabile ai comunisti per lavorare per collegare e unire i gruppi, i circoli e i singoli compagni, accumulare forze e riunire le condizioni basilari per costituire un autentico Partito comunista, quale reparto di avanguardia organizzato e cosciente del proletariato.
Dopo aver forgiato e sviluppato un’Organizzazione intermedia sufficientemente forte, compatta ed estesa, dopo che proletari rivoluzionari e rappresentanti del marxismo-leninismo si riuniranno in questa scuola politica e cominceranno a saldare il socialismo scientifico con il movimento operaio, la questione della ricostruzione del Partito sarà un qualcosa politicamente concreto e valido.
Con la maturità politica, la forza e la volontà dei comunisti e degli operai più coscienti, a trasformarsi in Organizzazione può iniziare una nuova fase di sviluppo della lotta per la ricostruzione del Partito comunista.

Dicembre 2020

La Commissione politica di Coordinamento Comunista Lombardia, Coordinamento Comunista Toscano, Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia

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