Il volta faccia delle monarchie del Golfo sembra sia definitivo. Al momento esse in pratica stanno abbandonando, parzialmente, l’imperialismo occidentale – Usa e Company – per gettarsi convintamente nelle braccia di Cina e Russia. Sono successi tanti fatti che hanno convinto queste monarchie, anche perché il cavaliere di prima è morente o come minimo ha forze fiacche.
L’irritazione dell’Arabia Saudita inizia con Obama che spinge la monarchia a impegnare tutte le sue forze nel decennio di fuoco che ha invaso e distrutto diversi paesi e popolazioni arabe. Una volta che l’incendio è diventato indomabile l’amministrazione Usa ha cominciato a prendere le distanze dalla monarchia saudita e in particolare dall’erede al trono Mohammad Ben Salman.
Trump, il successore di Obama, ha voluto soltanto impegnare queste monarchie ed altri paesi arabi in una specie di Nato mediorientale sotto il commando Usa-Israele, un’alleanza in funzione soprattutto anti iraniana e, come si capisce, al servizio esclusivo degli interessi israeliani. Per arrivare a questo occorre normalizzare i rapporti con l’entità sionista e a questo scopo si sono inventati la “pace di Abramo”. Due monarchie hanno subito intrapreso il percorso Emirati e Bahrein, mentre la A.S è rimasta un po’ riluttante. Per la creazione della Nato Mediorientale occorre armarsi ed ecco che l’industria bellica Usa incomincia a darsi da fare: contratti super miliardari vengono messi in essere e il salasso delle economie delle monarchie prende quota.
L’amministrazione Biden rincara la dose contro Ben Salman figlio e lo strappo/ricatto viene a consumare qualsiasi tipo di rapporto con la monarchia.
Tutto ciò avviene in un momento di decadenza politico/militare della super potenza yankee. Iraq, Afghanistan e Iran hanno denudato il gigante mostrando la sua impotenza. Il colpo mortale avviene in Ucraina con la Russia che da sola fa fronte alla Nato tutta insieme e sembra vincere il confronto.
Ciò che molti hanno capito da questa guerra per procura che si consuma in Ucraina è che la Nato è una tigre di carta. Questo è stato capito anche dai retrogradi sauditi e, data la situazione, sono giunti alla conclusione che questa tigre non potrà più offrire quella protezione che le è stata garantita per decenni.
Sul piano economico è lo stesso. L’imperialismo modello Usa non ha più futuro e la Cina si presta al sorpasso inevitabile in pochi anni. A dire il vero è tutta l’economia che si sposta ad est lasciando i vecchi imperialismi occidentali, yankee ed europei, a languire ed agonizzare.
A convincere di più i sauditi a cambiare padrone è la loro guerra con lo Yemen diventata un pantano da cui non riescono ad uscire senza perdere la faccia. Ingenti quantità di denaro sono già stati spesi senza giungere a nessuna vittoria anche in parvenza. Tutto al contrario, la minaccia yemenita è diventata incombente e molto pericolosa con i loro missili e droni che potrebbero distruggere il paese invasore. L’assenza degli Usa nello scenario yemenita e il mancato appoggio ai sauditi che, oltre a rendere disastrosa la situazione umanitaria nello Yemen, rischia di ricevere un durissimo colpo (lo Yemen ha minacciato di chiudere Bab El Mandeb di fronte al commercio marittimo se il loro paese verrà tenuto sotto embargo e sotto assedio). Tutto ciò probabilmente ha convinto i sauditi a cambiare rotta.
La crescita dell’Iran su tutti i piani: economico, politico, militare e scientifico è stata un ulteriore motivo, molto valido, che ha spinto i sauditi a firmare l’accordo di pace. Il luogo della firma è molto significativo dal punto di vista politico e rappresenta:
– la crescita di ruolo della Cina politicamente e la sua mediazione viene a sostituire sia gli Usa e i paesi europei. A differenza del capitalismo vorace occidentale la Cina offre reciprocità e scambio paritario dove gli attori sono tutti vincenti. Il contrasto tra i due modelli capitalistici è abissale; ricordiamo che quello occidentale ha basato la sua influenza sulla forza militare brutale, sulla minaccia. E, come se non bastasse, creando situazioni di caos e di instabilità politica in tutti gli Stati riluttanti ad accettare il dominio assoluto degli Usa e dei paesi scagnozzi europei arrivando, spesso, alla liquidazione fisica dei capi di governo invisi ai centri di potere nei paesi dell’imperialismo occidentale. Quindi, il rapporto che si presenta è un rapporto di sottomissione totale con un impoverimento progressivo dei paesi sottomessi.
Questo naturale risultato lo abbiamo visto chiaramente nei paesi africani e dell’America del Sud, non è il caso dei paesi del Golfo che hanno mantenuto una certa arretratezza e sottosviluppo malgrado il grande surplus finanziario e l’accumulo che sono riusciti a racimolare. Probabilmente, come sostengono in molti analisti yankee, gli arabi si sono anche stancati del trattamento loro riservato dagli Usa e si sono diretti ad est e a nord verso le economie promettenti nei mercati asiatici e russi. Un volta faccia che, se si compie, darebbe un colpo mortale al capitalismo occidentale in toto e una spinta, invece, decisiva alle economie promettenti asiatiche, una spinta che accelera il sorpasso della Cina come prima economia mondiale. Sembra che anche i cinesi se ne siano accorti e stanno accelerando a loro volta la costruzione di una potenza navale, la Cina sta costruendo porti un po’ ovunque per assicurarsi un approdo tranquillo. La flotta militare, invece, serve ad assicurare le rotte delle sue flotte commerciali.
Tornando all’accordo. A distanza di poco tempo i risvolti e le reazioni nella regione prendono il volo: in israele guardano a questa intesa come una sconfitta strategica, una grande delusione. Il piano di portare i confini dell’entità sionista dal punto di vista della sicurezza il più lontano possibile dal centro è stato probabilmente rilegato e messo nel cassetto. La Nato mediorientale anche e l’attacco all’Iran, partendo dai paesi del Golfo, dimenticato. Insomma tutto ciò sul quale hanno lavorato assiduamente per decenni è probabilmente svanito con un tocco di pennello. Un colpo durissimo per la dirigenza politica e militare sionista.
Dall’altra parte, nei paesi arabi, questa intesa è stata salutata positivamente e accolta con molto sollievo. I risvolti immediati si sono visti in alcune questioni conflittuali che hanno dato una accelerazione alla risoluzione dei conflitti, in primis nello Yemen e la Siria. Certe aperture si sono viste anche in Libano, Kuwait e Bahrein. Hanno riaperto le loro ambasciate a Teheran, la Turchia sta normalizzando i suoi rapporti con i paesi arabi e probabilmente giungerà ad accordarsi con la Siria per ritirare le sue truppe dalle zone occupate. Anche in Libia sembra che le cose vadano verso una prospettiva di pace tra le parti belligeranti. Insomma qualcosa si muove, ma bisogna essere molto cauti per vedere su quali spiagge si approda.
Un compagno palestinese